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Riportiamo un interessante articolo di Roberto Serena pubblicato su “Noi genitori e figli”, supplemento di Avvenire del 26 ottobre, che tratta il tema della festa di Halloween ripercorrendone le origini.
La Chiesa l’ha fatto tante volte nella sua storia, di “cristianizzare” le feste e le tradizioni pagane piuttosto che abolirle tout court (la storia dei Natale docet...). Adesso le tocca invece affrontare il “ritorno” del fenomeno, ovvero una moda che — spinta d’oltreoceano — minaccia di sovrapporre radici celtiche e derive sataniste, vere o presunte, all’ormai lungamente accreditata ricorrenza di Ognissanti e alla Commemorazione dei defunti che immediatamente la segue.
Stiamo parlando di Halloween, ovviamente. E del preoccupato ritornello che ogni 12 mesi, agli esordì di novembre, si solleva in vari ambienti: educativi, religiosi, familiari. Si tratta davvero di una festa “pagana”? Dobbiamo proibire ai nostri figli di partecipare al rito del “dolcetto o scherzetto”? Siamo di fronte all’ennesimo tentativo laicista di secolarizzare il calendario cristiano? Oppure più banalmente è soltanto un’occasione consumistica in più, tra le molte già offerte dal volger commerciale dei giorni? Ancora: è più produttiva un’attitudine critica ma “aperta”, che tende a recuperare il buono del fenomeno, oppure una decisa censura, quasi una demonizzazione — come appunto qualcuno preferisce anche in ambito cattolico? Insomma, per scegliere un titolo secco: Halloween, che fare?
Sarà utile anzitutto rintracciare le vere origini della festa delle zucche, che
— già nel nome — sono in realtà religiose, anzi cristiane. All Hallow’s Eve significa infatti “vigilia di tutti i Santi”, con chiaro riferimento dunque alla celebrazione della “Chiesa trionfante” che almeno dal 731 risulta collocata al primo novembre. Che poi quest’ultima si sia sovrapposta — secondo il citato meccanismo di espropriazione cattolica — a una pre-esistente celebrazione pagana, ovvero il capodanno di Samhain, arricchisce semmai il contesto, però non lo stravolge: come la ricorrenza celtica rappresentava la “morte” dell’anno celebrando la speranza della sua rinascita, così Ognissanti e la Commemorazione dei defunti testimoniano la medesima fede nella resurrezione in senso cristiano.
Già “religiosa”, la notte di Samhain (magica anche nel senso che permetteva alle anime dei defunti di tornare a visitare e portare doni ai viventi) venne dunque cristianizzata più o meno al tempo di Carlo Magno. La sua secolarizzazione è invece assai più recente, poiché solo tra Otto e Novecento negli ambienti americani (dove Halloween era giunta con l’emigrazione irlandese, la stessa che iniziò a intagliare le zucche), si diffuse l’usanza di organizzare feste mascherate — anche benefiche — la vigilia di Ognissanti. Di tale ricorrenza s’impossessò poi una certa cultura esoterista e spiritista, paradossalmente tipica del positivismo, sostituendo i rituali del terrore e dell’orrore all’originario spirito di positiva comunicazione con l’aldilà. Su tale ceppo non ebbe infine difficoltà a innestassi la pianta sempre rigogliosa del commercio, abilissima a piegare ogni circostanza alla filosofia apparentemente “neutra” del consumismo. E dunque, che fare? Certo, tagliare di netto i viluppi storici e culturali da cui le zucche traggono linfa può apparire più rapido e risolutivo. Oltre a non corrispondere alla saggezza riformatrice della Chiesa del passato, però, ciò rischia di guadagnare tutte le controindicazioni pedagogiche proprie dei divieti assoluti — soprattutto nei riguardi dei più giovani. Spiegare, discernere, discutere, proporre alternative fantasiose e pertinenti è senz’altro più faticoso e aleatorio, tuttavia si può anche immaginare che risulti alla lunga produttivo. Oppure anche noi abbiamo paura di una zucca vuota?