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La Corte di Cassazione ha emesso una sentenza che non mancherà di far discutere: i blog non potranno essere più equiparati a un giornale e non potranno più essere tutelati dalle stesse regole che sono a garanzia della libertà di stampa.
Ad affermarlo è, infatti, una sentenza della Cassazione (la numero 10535) con la quale la Corte Suprema ha confermato la legittimità del sequestro di alcune pagine web del sito di una associazione nelle quali erano contenuti messaggi ritenuti diffamatori nei confronti di un'altra associazione.
In particolare la vicenda si riferisce ad alcune pagine del sito dell'Associazione per i Diritti degli utenti e consumatori nelle quali erano state pubblicate frasi ingiuriose nei confronti dei sacerdoti e in particolare frasi prese da un forum dove si parlava dello scandalo dei preti pedofili. Dopo una denuncia della Associazione Meter dell’amico don Fortunato Di Noto la magistratura di Catania ha disposto il sequestro di quelle pagine.
A quel punto si mossero gli avvocati dell'associazione i quali nel ricorso sostennero che “ai nuovi mezzi di comunicazione (blog, chat, social network) dovevano essere riconosciute le stesse garanzie riservate alle testate giornalistiche”.
La Suprema Corte, però, ha replicato che tali siti “non possono essere qualificati come un prodotto editoriale, o come un giornale online, o come una testata giornalistica informatica”. La Cassazione spiega che i nuovi mezzi di comunicazione, come quelli citati sopra, “sono una semplice area di discussione dove qualsiasi utente è libero di esprimere il proprio pensiero ma non per questo resta soggetto alle regole e agli obblighi cui è soggetta la stampa” e non possono quindi “giovarsi delle garanzie in tema di sequestro che la Costituzione riserva solo alla stampa”. Per questo motivo ha giudicato regolare il sequestro effettuato dalla Polizia postale delle pagine in questione.
In definitiva la Cassazione pone dei paletti intorno ad alcuni reati, come appunto la diffamazione e la calunnia, purtroppo sempre più frequenti in rete e troppo spesso mascherati dalla “libertà di stampa e di parola”. Non solo, questa sentenza apre le porte alla responsabilità civile e penale degli amministratori delle piattaforme blog nei casi in cui non venga accertata l'identità di colui o coloro che gestiscono il blog, o una qualsiasi delle nuove forme di comunicazione.
Spesso le piattaforme internet offrono spazi web gratuiti senza però accertarsi mai della effettiva identità di chi gestisce questi spazi dando quindi a queste persone la possibilità, spesso nell'anonimato, di diffamare chiunque.
La rete non dev’essere una giungla dove chiunque può fare qualsiasi cosa. I reati devono essere perseguiti esattamente come avviene nella vita quotidiana e per fare questo occorre imporre ai gestori di quelle piattaforme che rappresentano “i nuovi mezzi di comunicazione” di accertarsi chi sia l'utente che fa uso di dette piattaforme o, in alternativa, di essere loro stessi responsabili di quanto viene pubblicato sulla loro piattaforma. Ogni frase, ogni commento, ogni espressione dev’essere riconducibile a una persona, non può essere anonima. Ciò non è un limite alla libertà di parola o di critica, ma riuscire a rendere responsabile chi scrive su questi “mezzi” delle cose di cui scrive. Tali libertà non possono divenire impunemente possibilità di diffamazione senza colpa.