Uno studio di Microsoft condotto su 25 paesi analizza il problema. Ma l'Italia non sembra essere fra le peggiori.
Quasi un terzo dei giovani italiani è vittima di atti di cyberbullismo o di molestie online. Si tratta di un fenomeno in continua crescita, è vero. Ma è conosciuto sempre meglio sia dalle famiglie, sia dalle scuole. Questo incide anche sulla percentuale di aggressioni che, nel caso italiano, risulta essere il 9% in meno rispetto alla media degli altri paesi.
Lo rivela uno studio commissionato da Microsoft che mette a fuoco il concetto di cyberbullismo dal punto di vista dei giovani. I ricercatori hanno intervistato ragazzi tra gli 8 e i 17 anni, in 25 paesi, per scoprire problemi e difficoltà del web.
Ne è emerso che in Italia c'è un'alta conoscenza del fenomeno (69% rispetto al 57% nel resto del mondo) e di preoccupazione soprattutto da parte dei genitori (62% contro il 54%). Tutto questo influisce sulla percentuale delle vittime e sul numero di responsabili di atti bullismo (16% rispetto alla media mondiale del 24%).
A parte la sequenza di percentuali e dati, dalla ricerca emergono aspetti interessanti.
Innanzitutto è più facile essere aggrediti, se a propria volta si pratica bullismo on line (il 39% contro il 28%). L'incidenza è significativa, soprattutto perché dimostra che la buona educazione durante la navigazione e il rispetto delle norme consentono di non mettersi nei pasticci. L'aggressività non viene premiata nemmeno nella realtà virtuale.
Inoltre, le ore passate su Internet aumentano le possibilità di fare pessimi incontri. Le statistiche dicono che i minori sono più vulnerabili se trascorrono più di 10 ore alla settimana on line (il 36% rispetto al 22%).
Un aspetto, per certi versi non prevedibile, è la differenza di comportamento fra ragazzi e ragazze. Con i dati in mano, risulta che le femmine assumono atteggiamenti peggiori dei maschi: le femmine sono responsabili di atti di bullismo on line, con atti che vanno dalla presa in giro alle minacce, molto di più rispetto ai maschi (19% rispetto al 12%). I ragazzi restano invece i protagonisti del bullismo tradizionale, ovvero fisico, con un 51% contro il 35%.
Il motivo di questa differenza può essere dovuta al maggior controllo da parte dei genitori verso i maschi più delle femmine (il 65% contro il 49%) e al fatto che devono rispettare tempi più stretti per le navigazioni on line (il 45% contro il 28%).
In tutto questo, quindi, si rivela fondamentale il ruolo della famiglia, della scuola e di iniziative volte alla sensibilizzazione sul tema.
Famiglia. Il 61% dei genitori parla con i figli dei rischi su Internet, il 49% istruisce sui comportamenti corretti da mantenere, il 38% controlla l'uso dei computer e il 25% chiede direttamente ai ragazzi se hanno subito atti di bullismo online. La presenza dei genitori appare dunque come uno dei nodi principali per evitare problemi e una buona comunicazione fra tutti è proprio il modo giusto per migliorare la consapevolezza.
Scuola. Il 25% degli istituti scolastici dispone di regolamenti ufficiali contro il bullismo in rete e il 23% impartisce una formazione mirata agli studenti. Anche la didattica è quindi uno dei principali veicoli della buona educazione online.
Iniziative come Safe Social Media. È l'esperienza che fa da collante fra tutte queste realtà sociali, che unisce in un contesto neutro la famiglia e la scuola. Progetti internazionali come SSM, che si rivolgono a studenti italiani e spagnoli dai 12 ai 16 anni, per la prevenzione e la lotta contro la violenza presente nei social media, sono l'ulteriore riferimento didattico. Consentono un approccio più dinamico alla materia e permettono una raccolta di dati ad ampio raggio che, spesso, le singole scuole non possono realizzare.
|