L'approvazione, da parte del Consiglio dei ministri, del decreto legislativo sulla formazione degli insegnanti, costituisce un nuovo importante passo sulla via rinnovatrice della scuola.
Vale dunque la pena di soffermarsi sulle principali novità che esso comporta e tentare di darne, a caldo, una prima valutazione.
Indubbiamente positiva la scelta di richiedere una formazione "di pari dignità" per i docenti di tutti gli ordini e i gradi di scuola. Anche per insegnare alle elementari sarà indispensabile la laurea.
Ancora più importante, forse, tra le novità, la decisione di scaglionare gli accessi ai corsi di laurea specialistica che dovranno dare accesso all'insegnamento in base al numero dei posti regionalmente disponibili. Alla fine del corso è previsto un esame di Stato con valore abilitante, che varrà anche come prova concorsuale e garantirà a coloro che lo supereranno la certezza dell'assunzione nelle scuole statali sui posti messi a concorso. Si dovrebbe evitare così, in futuro, il penoso fenomeno della disoccupazione e quello, non meno drammatico, del precariato.
Il decreto innova anche prevedendo, per i neolaureati, un primo anno di tirocinio, sulla base di un contratto formazione lavoro. Nel corso di quest'anno il giovane docente verrà seguito da un tutor e solo al termine di questo periodo di prova sarà assunto con un contratto di lavoro a tempo indeterminato.
Una buona notizia è il ruolo essenziale che viene attribuito dal decreto ad appositi Centri di ateneo o di interateneo, a cui viene demandato il compito di organizzare il tutorato e raccordare l'attività di formazione prevalentemente teorica svolta dall'Università con la riflessione sulla pratica professionale effettivamente svolta nelle scuole. Tale raccordo, secondo il decreto, verrà assicurato anche da professori della scu ola, comandati presso i Centri con compiti di supervisione e coordinamento dei tirocini.
Inoltre i Centri realizzeranno specifiche intese con i singoli istituti o con reti di istituti. Si tratta, insomma, di evitare che i futuri insegnanti vengano formati solo da docenti universitari che magari non hanno mai messo piede in un'aula scolastica, mentre hanno bisogno di incontrare figure capaci di comunicare, oltre che nozioni, un'esperienza vissuta e uno stile.
Restano alcuni punti problematici. L'accesso dei giovani alla professione attraverso la programmazione territoriale dovrà in realtà fare i conti con l'esigenza di assorbire nella scuola i 200mila precari storici a cui il ministro, proprio ieri, ha garantito che entro cinque anni avranno una sistemazione definitiva. Per questo l'avvio del nuovo canale formativo è previsto solo a partire dall'anno accademico 2006-2007, e per di più servirà a coprire solo il 50% dei posti, mentre l'altro 50% andrà ai precari. Vista anche la tendenza attuale alla contrazione dei posti, le prospettive non sono poi così rosee.
Resta poi il grande problema del tipo di formazione che i futuri insegnanti riceveranno. L'approfondimento disciplinare, i contenuti pedagogico-professionali, sono sicuramente d'obbligo. Ma la crisi di cui la scuola oggi soffre ha radici più profonde, che le competenze disciplinari e le capacità didattiche dei docenti non possono sanare.
Si è di fronte al venir meno di un orizzonte di valori condivisi che possa orientare un percorso educativo degno di questo nome. La logica del mercato ha trasformato la maggior parte dei nostri istituti in supermarket dove ogni studente va ad attingere, in un pulviscolo di progetti, ciò che più lo interessa, inserendolo nel proprio individuale piano di autorealizzazione.
La scuola in quanto tale non offre più fini, ma solo mezzi . Sarebbe necessaria l'azione di docenti che tornino ad essere "maestri". Ma questo suppone che nell'iter della loro formazione essi trovino stimoli in questo senso. Non abbiamo ricette da proporre. Ma il problema è di fondo, e qualcuno dovrebbe pure farsene carico.
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